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Gianluigi Russo, il caso sarà chiuso. L’appello della madre: “Le persone non si archiviano”

gianluigi russo 1Sarà archiviato entro dieci giorni il caso di Gianluigi Russo, il giovane, oggi 28enne, scomparso da Mercogliano il pomeriggio del 18 ottobre 2013. Dunque dopo due anni e otto mesi l’inchiesta sarà chiusa a meno che i familiari non presentino ricorso, tramite un proprio legale, sulla base di nuovi elementi emersi o di eventuali aspetti non considerati nel corso delle indagini. «Ho solo dieci giorni per ritirare il fascicolo e se ho elementi nuovi posso fare ricorso con un avvocato – scrive la madre del giovane Anna Iandolo – ma non ne ho, devo sperare che abbiano tralasciato qualcosa». E’ così dopo anni di indagini, coordinate dal Comando provinciale dei Carabinieri di Avellino, ricerche a tappeto su tutta la montagna di Montevergine e accorati appelli della mamma Anna, le sorti di Gianluigi rimangono avvolte nel buio pesto, mai una parola, nessun cenno che potesse tranquillizzare rispetto alle sue condizioni. Di Gigi, descritto dai familiari come un giovane riservato dedito al lavoro e alla palestra, con pochi amici e che passava le serate in casa tra libri e pc, nessuna traccia dal giorno in cui abbandonò la sua auto davanti al cancello della base Nato di Campomaggiore a Montevergine. Da quel lontano 18 ottobre nessuna luce sulla sua misteriosa scomparsa nonostante l’interessamento sul caso delle telecamere nazionali di «Chi l’ha visto?» e de «I Fatti Vostri» e le indagini a tutto campo. Furono, infatti,  anche valutate inquietanti ipotesi avanzate dai familiari stessi riguardo a possibili collegamenti della sua sparizione con sette sataniche o di arruolamenti nella legione straniera, come ipotizzato dal padre Rocco. L’ipotesi più accreditata rispetto alla sorte del ragazzo è quella dell’allontanamento volontario con il probabile coinvolgimento di almeno un’altra persona come aveva fatto supporre il comportamento delle unità cinofile e dei cani molecolari impegnati nelle ricerche in tutta la montagna di Montevergine. Ricerche che però non hanno portato ad alcun riscontro portando oggi il caso all’archiviazione. «Le persone non si archiviano, non sono carte bollate o scartoffie numerate da catalogare, depositare e dimenticare – afferma sui social network la madre -. Come si può dimenticare un figlio? Una madre, una sorella, un padre, un fratello?». Un doloroso sfogo rivolto anche alle Istituzioni: «In questa nostra bella Italia purtroppo funziona così, la giustizia non esiste, gli scomparsi e le vittime di omicidio non esistono per lo Stato, su di loro non c’è nulla da guadagnare. Il nostro Paese è la terra dell’inciviltà, del menefreghismo e dell’approssimazione. Quale giustizia e quale civiltà sta nel non sapere nulla del proprio figlio per due anni e otto mesi sentendosi dire ogni volta “non possiamo dirvi nulla perché c’è il segreto istruttorio”? Poi un giorno all’improvviso chiudono l’inchiesta e tutto è finito, cala il sipario. Ma anche gli scomparsi hanno un’anima, un cuore che batte ed i battiti non si possono archiviare».

 

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